Antonio Spinogatti, ha partecipato al 29° Premio Michetti di pittura. È presente nel 2° Tomo “Storia dell’Arte Italiana del ‘900” – Generazione anni quaranta” di Giorgio Di Genova edizioni Bora. Ha partecipato alla 54° edizione della Biennale di Venezia.
Le sue opere sono realizzate con colori acrilici su carte di grande formato per inseguire un suo tema, quello dei Giochi d’acqua, che direttamente ed indirettamente ne rendono gli effetti. Sia quelli dovuti ai colori molto diluiti, e quindi al quanto intrisi d’acqua, sia quelli che proprio l’acqua determina sul supporto cartaceo facendolo raggrinzire a imitazione delle piccole onde che la brezza crea sul pelo dei bacini d’acqua, per non dire dei laghi, che in questo caso ovviamente sono fuori luogo, a causa della limitata estensione dei supporti.

Giorgio Di Genova

Spinogatti col suo processo operativo ricorre a mescolanze di colori che determinano movimentazioni visive all’interno dei suoi “specchi d’acqua” pittorici. E così facendo crea anche riflessi di luce e di ombre, meglio individuabili nei fogli monocromi (violetti, azzurrini, grigio-cilestrini), trasparenze cromatiche che suggeriscono differenti profondità dei fondi, addirittura correnti interne alle superfici della pittura, che in qualche caso viene trattata con interventi gestuali quasi per rendere “piovosi” i risultati. Ma ovviamente Spinogatti, nonostante il titolo del suo ciclo, non vuole rifare il verso dell’acqua, anche se di essa si serve. Egli vuole fare pittura con giochi simili a quelli catturati nella contemplazione dell’acqua, mettendoci del suo, al di là della casualità di certi procedimenti che affondano nelle esperienze più codificate di certa pittura informale, quella appunto che si affidava ai percorsi dei colori diluiti fatti scivolare sulla tela inclinata. E penso -per non andare tanto lontano, citando Helen Frankenthaler, che negli anni Sessanta ha aperto la strada a Morris Louis – alle opere degli anni Ottanta-Novanta di Antonio Corpora, più che a quelle coeve di Vedova, ricche di sgocciolamenti che pure s’ispiravano ai torbidi canali della sua Venezia. Spinogatti infatti non solo in-terviene con distensioni del colore sulle superfici, ma si affida a colori come il rosso, il verde, il bianco, il violetto che con l’acqua non hanno rapporti naturalistici, come non li hanno le bicromie, per lo più giustapposte ed in qualche caso separate, di molte sue carte. Quindi, al di là delle suggestioni sia operative che imitative, Giochi d’acqua altro non è che un discorso pittorico senza immagini, un affondo nella pittura squisitamente aniconica che dilata l’ottica dell’artista abruzzese, portandolo a nuove declinazioni del segno, del gesto, della macchia per una personale rivisitazione dell’abstraction liryque, che negli anni Cinquanta ha avuto una sua importante stagione nell’ambito dell’art autre, come in Francia veniva definito l’Informale sulla scorta della geniale intuizione del compianto Michel Tapié.

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